Nato il 21 gennaio 1864 a Desio, vestì l’abito serafico a Lovere il 24 marzo 1882 e l’anno dopo emise i voti semplici e nel 1886 quelli solenni a Milano. Nello stesso anno, il 19 dicembre, veniva ordinato sacerdote, a soli 23 anni di età. Ultimati gli studi fu destinato precettore nel Collegio Serafico di Sovere. Fu in quegli anni che conobbe il beato Innocenzo da Berzo, e diventerà suo confessore nel convento di Bergamo nell’ultimo suo mese di vita. A Sovere rimase solo un anno, perché nel 1891 andò missionario in Mesopotamia, cioè nella Turchia asiatica, dove lavorò dal 1891 al 1910. Il suo primo impegno fu quello di studiare il turco, il francese e la musica, ottenendo risultati rapidi. Nel venerdì santo del 1893 poteva tenere il primo discorso in turco. Venne poi trasferito a Mardin e dovette studiare l’arabo che apprese rapidamente. Nel 1895 fu inviato a Malatya per riconciliare il superiore della missione con il vescovo armeno ed ebbe successo. In questo periodo fondò ospedali, case per i missionari e per le suore e scuole ben organizzate da competere con quelle degli armeni scismatici e dei protestanti. Ma giunse la tragedia. Il 4 novembre 1895 i Curdi, appoggiati dai turchi, distrussero la missione di p. Celestino. Egli riuscì a salvare dal terribile eccidio di 300.000 armeni ordinato da Hamid il Sultano Rosso, oltre 4.000 persone. Scriveva al p. provinciale nel giorno di Natale: «La mia chiesa, il mio ospizio, le scuole, ogni cosa sono diventate un mucchio di cenere. Sono senza pane, senza vesti, manco di tutto e la mia popolazione muore di fame e di freddo…». Quattro anni dopo egli aveva fatto risorgere ospizio e scuole ed era riuscito ad aprire un orfanatrofio. Ma l’anno 1898 i protestanti aprirono due grandi orfanatrofi e i suoi orfani e orfane vi si rifugiarono spinti dalla fame. Con l’aiuto di benefattori p. Celestino riuscì anche lui a costruire due orfanatrofi e subito i suoi ragazzi ritornarono. Questo lavoro durò fino al 1910. La missione della Mesopotamia in quegli anni passò sotto le dipendenze dei cappuccini francesi. Egli tornò in Italia verso il 20 giugno 1910 e fu ricevuto da Pio X. A Roma fu nominato vice direttore del Collegio Internazionale e professore dei lingua ebraica. Ma egli sentiva il richiamo missionario. Fu allora destinato all’alto Brasile, dove i cappuccini lombardi avevamo aperto una missione. Durante il viaggio imparò così bene il portoghese che, appena arrivato nello stato del Parà, poteva già scriverlo e parlarlo. Ma il p. Generale lo richiamò subito a Roma. I cappuccini lombardi avevano assunto la missione dell’Eritrea e il superiore provinciale, p. Camillo Carrara da Albino era stato nominato Vicario apostolico e voleva come suo Vicario generale p. Celestino. Egli lavorò in Eritrea dal 1911 al 1920. Riorganizzò il seminario di Cheren in dieci mesi e aprì la prima missione tra i Cunama e riuscì a risolvere una grave rivolta del clero indigeno contro mons. Camillo Carrara accusato ingiustamente. Fu molto attento all’istruzione. Diresse la “Scuola S. Michele d’arti e mestieri” di Saganeiti. Poi dovette interrompere negli anni 1917-1919 per motivi di salute. Ma ugualmente lavorò per l’introduzione della causa di beatificazione di Innocenzo da Berzo. Visse questo periodo a Bergamo e a Cerro Maggiore, compiendo numerosi viaggi. Un altro periodo missionario si svolse in Anatolia, detta anche Asia Minore, la parte peninsulare della Turchia. Era zona d’influenza italiana e la preparazione dell’ambiente di accoglienza venne affidata a p. Celestino. Il 17 sett. 1920 arrivò a Burdur dove trovò tanti armeni senza chiesa, senza prete e senza scuole. Aprì pertanto una scuola che fu subito molto frequentata, ma il governatore turco gliela fece chiudere. Si spostò allora a nord a Usak occupandosi di molte famiglie cattoliche. Riuscì ad acquistare due grandi case per i missionari e per le suore e un terreno attiguo, ma i greci gli si opposero. In Italia cercò di ottenere le suore e si preparava a ripartire quando giunse la notizia che Usak era stata tutta distrutta dai turchi che avevano avuto il sopravvento sui greci. Giunse a Smirne il 22 sett. 1922 e non pote’ raggiungere i confratelli perché gli era impedito di viaggiare. Il 20 gennaio 1923 pote’ riabbracciare i confratelli. Impiegò gli ultimi mesi in opere di carità specie verso i soldati prigionieri e decimati dal tifo. La missione di Anatolia finiva così senza prospettive perché le autorità turche non concedevano più permessi per aprire nuove missioni.
Ritornato a Roma, il 4 ottobre 1923 il ministro generale lo nominò commissario generale per la Bulgaria, Costantinopoli, Mar Nero, Smirne, Isole Cicladi, Creta e Cefalonia. La sua missione durò circa 16 mesi e fu un continuo viaggiare con grande pena per la sua debole salute e grande sofferenza per non avere mezzi per aiutare tanti poveri. Il sesto periodo della sua vita missionaria p. Celestino lo trascorse in Eritrea come vescovo, vicario apostolico e, per un certo tempo, anche superiore dei missionari cappuccini. Il 24 marzo 1925 veniva nominato vescovo titolare di Busiri e Vicario apostolico in Eritrea, il 30 marzo riceveva il rocchetto da Pio XI ed il 19 aprile veniva consacrato in Desio dal card. Tosi, arcivescovo di Milano. Furono undici anni di episcopato attivo (1925-1936). Iniziò la visita a tutti i confratelli e alla fine predicò loro gli esercizi spirituali. Lo stesso fece con il clero indigeno con esercizi spirituali in tigrino. Cercò di rinnovare gli edifici della missione e di crearne di nuovi. Rifece il seminario di Cheren danneggiato dal terremoto, costruì ad Asmara la casa dei missionari e del vicariato apostolico. Fu nominato Assistente al soglio pontificio il 17 aprile 1931. Vi rinunciò per motivi di salute. Al termine del suo mandato poteva dire: le residenze da dieci erano passate a sedici, i missionari da 33 erano passati a 44 e le suore da 50 a 150. Grande attenzione rivolse alla tribù dei Cunama di cui fu il primo evangelizzatore. Nel 1931 fece nominare un vescovo indigeno per i cattolici di rito etiopico. Per i meticci creò l’istituto di San Giuseppe per i maschi, a suo giudizio la sua opera più grande, che conteneva anche la tipografia francescana; e anche l’istituto di S. Anna per le femmine, poi due orfanatrofi, due catecumenati, uno per i musulmani e uno per i pagani. L’ultimo periodo della sua attività in Eritrea coincise con la campagna italo-etiopica. Ad essa rivolse la sua attenzione visitando ospedali, cantieri, caserme. Ricevette molti riconoscimenti specie da Vittorio Emanuele III e dal principe Umberto. Nel 1936 rinunciò al Vicariato per motivi di salute e il Papa Pio XI in segno di riconoscenza lo nominò arcivescovo di Sebastopoli in Abasia. Rientrato in Italia visse gli ultimi anni nel convento di Cerro Maggiore dividendo il suo tempo fra la preghiera e il confessionale e un po’ di ministero episcopale, godendo anche dell’amicizia del card. Schuster. Qui finì la sua vita il 15 febbraio 1946.